La storia
Immagine della Ferrera Cenisio 1901
Un flusso di pellegrini e viandanti si incanalava per il Moncenisio già nel XII secolo malgrado la presenza saracena e il colle aveva assunto il ruolo di principale via d’accesso all’Italia, almeno per le Alpi occidentali. L’Abbazia della Novalesa aveva rinnovato la propria vita, sebbene non fosse tornata all’antico splendore. Soltanto nei successivi anni l’abbazia svilupperà una propria autonomia grazie alle donazioni dei pellegrini in transito, generosi nel ricordo delle passate paure e riconoscenti per gli scampati pericoli, in quanto il superamento delle Alpi presentava gravi difficoltà e rischi di ogni genere, non ultimi briganti e ladroni di strada.
L’uso di servirsi di guide per valicare i passi alpini è molto antico, quasi certamente risale ad epoca preromana. Alcuni abitanti delle terre più prossime al Moncenisio misero a frutto la propria capacità di guide e portatori in aiuto di coloro che si avventurassero sul valico; per gli uomini di Lanslebourg, Ferrera e Novalesa divenne un mestiere. Risale al XIII la concessione di immunità e privilegi ai montanari che si impegnavano nel soccorrere i viandanti e nel segnare la via con pali per evitare smarrimenti quando la neve ricoprisse il cammino.
Si transitava con ogni tempo: se nei mesi estivi – un’estate, sul valico, molto breve – il disagio era limitato alla fatica, d’inverno al freddo, alla neve e al ghiaccio di aggiungeva il timore delle valanghe e delle tormente. Era facile perdere la strada, non tutti potevano assoldare una buona guida. Spesso il freddo era tale che pellegrini e viandanti non esitavano a sradicare i pali conficcati nella neve per bruciarli e scaldarsi: per evitare questa disperata soluzione, in luogo dei pali vennero conficcate delle lunghe croci – confidando nel timore del sacrilegio; l’accorgimento ottenne il proprio scopo e soltanto in seguito si tornò ai pali, altissimi, dovendo superare lo spesso strato nevoso.
La salita al valico del Moncenisio in pieno inverno era lenta e difficile. L’imperatrice Adelaide, moglie di Enrico IV, spaventata, dalla traversata, fu trasportata in una sorta di slitta – antenata delle “ramasse” – trainata a forza di braccia dai montanari dell’Arc, sulla cima del colle venne avvolta, unitamente al figlio, in una pelle di bue assicurata da funi e trascinata nella discesa sulla neve, mentre una guida, afferrata una fune, faceva da freno. Enrico IV scese a piedi, con qualche difficoltà e stramazzando spesso al suolo.
Nei propri continui spostamenti i principi sabaudi si muovevano in vere carovane con i famigliari, un folto seguito di cortigiani e armati, medici e speziali, anche con beni mobili, argenteria, vasellame e tappeti, pertanto era necessario un gran numero di cavalcature, animali da soma, asini e muli requisiti alle genti del luogo, lettighe, portantine, slitte e “cadrighe”, una sorta di portantina sospesa a lunghe pertiche.
Chi lasciava la Novalesa diretto al valico dopo un’ora e mezza di salita raggiungeva la Ferrera (o Ferrere) il cui nome di origine latina – da “ferre”, portare – rivela l’antico mestiere della popolazione del borgo, in gran parte formata da portatori o “marrons”. Noto fin dal Quattrocento, il borgo rappresentò un importante posto di tappa ancora alla fine del XVI secolo quando, con l’avvento delle carrozze, la sua importanza fu declassata a favore della Novalesa.
Nel febbraio 1476 la duchessa Jolanda, tutrice di Filiberto I, partita in soccorso di Carlo il temerario, giunse alla Ferrera e con i tre figli minori e si sistemò presso l’albergo della Croix Blanche. La duchessa, i figli e i cortigiani superarono il colle su alcune imponenti portantine, tanto da dover essere modificate, dopo che i “marrons” della ferrera avevano dichiarato che con quegli ingombri era impossibile risalire la mulattiera.
La parte più divertente ed emozionante del viaggio, quella che costituiva una vera attrazione nei passaggi invernali, era la veloce corsa con le slitte, le ramasse, dal colle a Lanslebourg. È difficile stabilire quando questo sistema di discesa venne adottato, in quanto l’idea di scivolare sulla neve (ma d’estate anche sui pendii erbosi) è antica, l’uso di farsi “ramasser” risale forse alla fine del Trecento o ai primi decenni del secolo seguente. Sappiamo che le ramasse furono usate per il bagaglio di Margherita di Savoia e che la duchessa Jolanda, appena superato il Moncenisio, trovò alcune slitte “pour rammasser” trainate fino al colle per mezzo di buoi.
I viandanti provenienti dal Piemonte erano attesi alla Ramassa (la località prese il nome da quell’uso) dai “marrons” e seduti sulle rozze e robuste slitte, preceduti da un montanaro che faceva da apripista e guida, erano condotti a valle in una decina di minuti o poco più. Il tratto iniziale aveva una pendenza del trentacinque per cento, da discesa sulla neve, quasi sempre gelata per l’esposizione settentrionale della zona, era veloce ed inebriante, ma era necessario un pizzico di coraggio in quanto i “marrons” erano piuttosto spericolati.